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Ferdinand Van Kessel, pittore olandese

pubblicato il 06/12/2013 12:00:00 nella sezione "Artisti"
Ferdinand van Kessel (Breda, 1647 – Breda, 1696)(alcune fonti lo vogliono nato ad Aversa)


Pittore olandese, ebbe come maestro il padre Jan van Kessel il vecchio, seguendone inoltre, nella carriera futura, temi e caratteristiche tecniche. Generalmente lo si considera inferiore al genitore per quanto riguarda i risultati della sua pittura, per la chiarezza del disegno e la purezza dei colori. Fu accolto alla corte di Giovanni III di Polonia, nella quale gli furono commissionate numerose opere; si specializzò in paesaggi, dipinti floreali e naturali con animali, tanto che le figure umane nei suoi dipinti venivano spesso eseguite da altri autori, e lui stesso forniva aiuto per tali particolari per i quali eccelleva.


Le sue opere nel nostro catalogo

Ritratto di Gentiluomo
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Edolo Masci e il "Cliché-Verre"
abruzzo (pescara) pescara

pubblicato il 02/12/2013 12:00:00 nella sezione "Artisti"
Centocinquant’anni dopo il brevetto, dopo i primi esempi magistrali di Corot e 83 anni dopo l’Eggbeater di Man Ray, la curiosità d’artista e la passione d’incisore condussero Edolo Masci a sperimentare questa rara tecnica, incidendo o dipingendo le lastre di vetro, perspex, e acetato, anche di grande formato (cm 50x70 circa), con la punta, il pennello e lo stilo in legno di bosso, il tampone e la carta abrasiva, sfruttando tutte le possibilità delle matrici e delle tecniche d’esecuzione, tenendo conto, sempre, anche delle fasi di stampa. Nella letteratura artistica il termine cliché-verre indica sia la lastra eseguita a mano dall’artista sia la stampa che né deriva. La matrice è una lastra di vetro, oggi anche di altro materiale trasparente, annerita, sulla quale l’artista traccia con una punta, similmente all’incisore per l’acquaforte, mettendo a nudo il vetro e ottenendo, così, un negativo. Tali lastre vengono poi stampate, su carte sensibili, con procedimenti che sfruttano l’azione della luce (solare o elettrica).
"Dai primi anni Novanta Edolo Masci lavorò con la luce, elemento fondamentale di questa tecnica; lavorò con le colle, gli sviluppi e i pigmenti usati in pittura. E qui è l’originalità dei clichés-verre di quest’artista, ampiamente stimato e considerato per la sua figurazione poetica e sintetica, fin quasi astratta.

Il cliché-verre, rara stampa d’arte, poco conosciuta anche tra gli addetti ai lavori, è nata nel XIX secolo, più o meno contemporaneamente in Francia e nel mondo anglosassone. Ha dato vita a risultati sperimentali ma di grande pittoricismo e fascino poetico. Come spesso accade, questa tecnica è stata avvicinata, quasi sempre, dai maggiori artisti, quelli più curiosi, più sperimentatori, da Corot, che ne ha eseguiti 66, a Delacroix, che ne ha eseguito solo uno. Dopo essere stato impiegato da Corot (negli anni 1853-1874) e dai pittori della Scuola di Barbizon, a causa della fragilità delle lastre, il cliché-verre è stato abbandonato quasi completamente. Agli inizi del XX secolo l’artista che ha ripreso la tecnica è stato Man Ray (che ne ha realizzati circa 28) seguito da Max Ernst (19), Brassaï (12) e naturalmente Picasso (5).
"La mostra ed il libro “Edolo Masci, Clichés-Verre” verranno presentati presso la storica Libreria-Galleria “Al Ferro di Cavallo” di Roma, sita in Via del Governo Vecchio n.7, nel giorno di sabato 9 Maggio 2009, dalle ore 17:30.

Le librerie ed i libri, “luoghi” cari ad Edolo Masci, che da curioso ed accanito lettore divenne fine e colto bibliofilo, come anche ricorda il grande mercante d’arte Giuseppe Zanini nei suoi ritratti d’artista: ZANINI G., Edolo Masci, Un Volto del Novecento, da De Chirico a Campigli, La Collezione Zanini; Mazzotta, Milano, 2004, pag.36.
quot(“Al Ferro di Cavallo” e gli artisti, un amore che ha superato il mezzo secolo, da quando Agnese De Donato e Gina Severini inaugurarono lo spazio, come riporta un cronista del quotidiano “Il Tempo”, il primo Novembre 1957: È questo un negozio del tutto particolare che, aperto di proposito nelle immediate vicinanze della Accademia di Belle Arti e del Liceo Artistico, vuole essere soprattutto un ritrovo di artisti. E dove la politica passava per il "Que viva a Fidel Castro!" che vide Giuseppe Capogrossi, Fabio Mauri, Mimmo Rotella, Gastone Novelli, ed altri ancora, esporre nel 1961 per il Lidér Maximo.)
Amore continuato con Sergio Mazzocchi, Lena Salvatori e Peppe Orlandi che hanno portato avanti il “Ferro di Cavallo” dal 1982 fino ad oggi, dove Giuseppe Gallo fece la sua prima mostra e qui conobbe Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Claudio Bianchi e Nunzio: stava nascendo la Nuova Scuola Romana.

Uno spazio di promozione libera dell´arte tra i libri, dove nel 1985 venivano esposte le, allora pionieristiche, "Immagini al computer" di Paul Thorel.

Un luogo che ha offerto la possibilità ai giovani che studiavano all'Accademia di esporre il loro lavoro, spesso “Al Ferro di Cavallo” hanno tenuto la prima mostra personale artisti oggi riconosciuti nell'arte come Alessandra Giovannoni, Paolo Picozza, Maurizio Pierfranceschi, Enrico Pulsoni, Enzo Scolamiero ed altri.
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Aelita Andre: Arte o Arte del Marketing?

pubblicato il 17/10/2013 15:27:51 nella sezione "Artisti"
"Una piccola grande bambina con il genio d'artista o solo una perfetta operazione di comunicazione?
di Clara Renna

Per il ciclo “arte controversa” vorrei sottoporvi il caso di Aelita Andre, una bambina canadese che a 6 anni ha già all’attivo mostre in tutto il mondo, che vende tantissimo e la cui prima Personale è stata all’età di 4 anni a New York… E’ conosciuta come il prodigio del colore, per l’abilità con cui riesce ad accostare e fondere cromie. Figlia di un pittore e di una fotografa, Aelita viaggia per il mondo con i suoi quadri, e durante la suddetta mostra di New York ha fatto registrare il sold-out di opere in sette giorni.
Con tanto di sito, pagina di wikipedia e videi su Youtube, la piccola Aelita è già una stella di tutto rispetto nel Pantheon degli artisti contemporanei, paragonata a Pollock, a Dalì e a Picasso.
Da qui sorge la domanda: action painting effettuato per lo più con la tecnica del dripping e con l’aggiunta di oggettini tridimensionali come maschere, farfalline di plastica e pon pon, fatto da una bimba che a quanto pare ha creato il suo primo quadro quando aveva appena nove mesi, può essere considerata arte?
Io come al solito mi astengo dall’esprimere qualsiasi giudizio a riguardo, ma mi chiedo: se ognuno di noi, da appena nato, fosse stato messo nelle condizioni di avere a disposizione colori di ogni tipo, tele sparse per il pavimento ed una stanza tutta per noi dove sporcarci e sperimentare come meglio credevamo, senza limiti, non saremmo stati tutti artisti? Io personalmente ricordo che mia madre non voleva che mi sporcassi o che sporcassi il pavimento, ovviamente guai a me se per sbaglio scrivevo sui muri e comunque i colori a mia disposizione erano 12 pennarelli e altrettante matite… e lo stesso vale per molte persone di mia conoscenza. Posso quindi accusare i miei di aver represso la mia genialità artistica, o semplicemente quella di un bimbo di pochi anni non è proprio arte, ma la normale espressione di un mondo interiore fatto di pura fantasia e creatività, la cui prima rappresentazione è il colore? L’arte è tale se chi la pratica è consapevole della valenza artistica del suo atto o è arte a prescindere dal creatore? L’arte, insomma, è nella mente di chi crea o nell’occhio di chi guarda? Perché a nove mesi o due anni mi sembra quantomeno improbabile che Aelita sapesse quello che faceva, ma alla fin fine ciò ha importanza ai fini della valutazione di cosa sia arte? L’arte inconsapevole ha lo stesso valore di quella consapevole?
In conclusione: Aelita è un’artista o i suoi genitori sono grandi imprenditori?
Lo so, questo post contiene più interrogativi che altro, ma mi piacerebbe avere uno scambio di opinioni, per arrivare ad una sintesi tra i pareri contrastanti che mi frullano in testa…

Aelita Andre


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Giulio Cesare Procaccini (Bologna 1574-Milano 1625)

pubblicato il 13/10/2013 12:00:00 nella sezione "Artisti"

Nato a Bologna nel 1574, quinto figlio del pittore Ercole Procaccini il Vecchio e fratello di Camillo e Carlo Antonio, entrambi pittori, si trasferì a 11 anni con la famiglia a Milano cominciando a lavorare nel 1590 alla fabbrica del Duomo di Milano. Veniva da una dinastia di pittori, che a Bologna aveva rappresentato una via alternativa a quella dei Carracci. Quando il ruolo di questi ultimi diviene dominante a Bologna, i Procaccini si spostano a Milano, città che nel clima controriformistico impostato da Federico Borromeo era diventata un centro di elaborazione delle nuove forme nel campo delle arti figurative.
Giulio Cesare esordisce nel campo dell'arte come scultore, e di questa sua prima fase sono varie opere in Santa Maria dei Miracoli a Milano (Angeli reggicorona per la statua della Madonna dei Miracoli di Annibale Fontana). Verso il 1600 passò alla pittura, il motivo di questo cambiamento non è noto; molti tendono ad attribuirla a un viaggio di formazione a Roma, Venezia e Parma, o a un soggiorno di studio a Parma all'inizio del Seicento che ne avrebbe profondamente modificato l'iniziale asprezza lombarda dello stile. Le sue prime imprese pittoriche sono le pale con la Pietà e il Martirio di Nazaro e Celso, in Santa Maria dei Miracoli e le tele per il Tribunale di provvisione, in cui è evidente lo stile caratteristico del tardo manierismo lombardo del Cerano e del fratello Camillo.
Nelle sue opere successive diviene sempre più evidente invece l'influenza di importanti artisti emiliani come il Correggio o il Parmigianino oltre che le vigorose suggestioni dell'arte di Rubens[1]. In particolare questa evoluzione si può notare nelle prestigiose commissioni seguenti al 1610, i teleri per la serie dei Quadroni per il Duomo di Milano con i Fatti della vita del Beato Carlo Borromeo, e le opere per la Cappella Acerbi in Sant'Antonio abate. Con queste opere si impone come figura eminente nel panorama pittorico milanese insieme al Cerano.
Nel 1619, insieme al fratello Camillo, lavorò a Torino per i principi di casa Savoia.
Importante anche il suo soggiorno genovese. In questo esegue tra le altre opere l'Ultima Cena per la Santissima Annunziata del Vastato (dipinto posto nella controfacciata), del quale è importante anche il bozzetto, per l'influsso da esso avuto presso i pittori locali (a cominciare dallo Strozzi) per il suo modo di sfilacciare la pennellata.

Lo stile delle sue ultime opere, indicativamente quelle dipinte dopo il 1620, perde quell'eleganza atmosferica che lo aveva contraddistinto per farsi sempre più scultoreo e manieristico, come si nota ad esempio, nel Caino che uccide Abele del 1623. Insieme al Cerano e al Morazzone, con cui firma il famoso Quadro delle tre mani, Giulio Cesare Procaccini è uno dei più importanti artisti lombardi della prima metà del Seicento.
L'ultimo suo quadro, l'Autoritratto dipinto nel 1624 e oggi conservato a Pinacoteca di Brera, è un capolavoro di intensa e malinconica espressività che ne sigla nel modo più alto tutta l'opera. A 50 anni l'artista vi appare precocemente invecchiato.
Morì l'anno dopo a Milano, il 14 novembre 1625.
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Andrey Remnev: Visioni oniriche dell’arte contemporanea russa

pubblicato il 02/10/2013 09:50:04 nella sezione "Artisti"
"Dato il mio amore per l’arte e la letteratura russa, oggi vorrei parlarvi di un magnifico artista contemporaneo, che ho conosciuto solo poco tempo fa: Andrey Remnev.

di Clara Renna

Nato in un paesino sulle colline vicino Mosca una cinquantina di anni fa, Andrey Remnev ricorda i paesaggi della sua infanzia come opere di Brueghel divenute realtà. La vista dalla sua finestra era simile ad un quadro, e comprendeva piccoli fiumi e sorgenti, boschi, campi e villaggi, treni e navi che attraversavano il canale…

Durante il periodo giovanile, Andrey studia attentamente la storia dell’arte russa, che fa capo alla tradizione iconica bizantina. Crea quindi un suo personalissimo stile, fondendo la magnifica arte tradizionale di origine greco ortodossa con la grande pittura russa del XVIII e XIX secolo, e aggiunge al tutto un senso fortemente plastico che strappa i personaggi principali alla ieraticità tradizionale, pur mantenendone l’espressione solenne.

Il risultato è un’arte sognante, che conserva la magia sacrale delle grandi chiese affrescate bizantine, ma acquista il fascino della contemporaneità, filtrata attraverso la creatività onirica e la sensibilità individuale dell’artista.
L’umore è marcatamente lirico, le immagini pure, sempre nobili e composte, serbano però un’energia vitale fremente, che le rende ipnotiche. Particolare attenzione merita la luce, nitida e omogenea, che ha origine negli sfondi dorati di reminiscenza bizantina ma che, attraversando il realismo russo dell’Ottocento, approda al costruttivismo sovietico del secolo scorso, rendendo le figure stabili e solide, seppure immerse in atmosfere fiabesche e composizioni molto vicine alla corrente simbolista.

L’enfasi posta sull’aspetto decorativo, l’attenzione ai particolari e la resa materica dei materiali rappresentati, come le stoffe, creano davvero un universo meraviglioso e incantato, con salde radici nella storia russa ma fronde che ondeggiano al tocco segreto dell’immaginazione.
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Francomà

pubblicato il 01/10/2013 08:46:40 nella sezione "Artisti"
"Maestro di una pittura compiuta, allegorica e irriverente e mai superficiale; allievo coraggioso nello sperimentare e portare avanti nuovi percorsi artistici. Così facendo i personaggi di Francomà si collocano al di fuori del tempo riuscendo sempre a preservare la loro modernità in un nuovo e affabulatorio “cantico delle creature” dal sapore attuale, popolato da energie animate che prendono forma grazie ad una pittura che l’artista elabora e tira fuori dal respiro stesso della sua creatività, e dalla voglia di comunicare
di Roberto Sottile
Critico d’Arte

Nato a Rende nel 1945 Francomà vive ed opera a San Lucido sul Tirreno Cosentino. Protagonista dei post-meridionali come scrive Tonino Sicoli
"Francomà fa della metamitologia, raccoglie cioè tutto ciò che nel patrimonio culturale «colto» e popolare parla del mito, lo assume dentro una moderna iconografia che si colloca a sua volta come nuova mitologia
Apparentemente, la ricerca portata avanti da Francomà è il risultato caotico e confuso di un percorso apertamente kitsch, ma non di cattivo gusto artistico, ma in realtà, tende ad una pittura che potremmo definire «intellettualmente popolare», risultato della sintesi tra forma e spazio dell’opera, in principio gestuale per poi riuscire ad arrivare a metabolizzare evocazioni, rievocazioni e celebrazioni dell’arte.
Come scrive ancora Tonino Sicoli
"poco importa se il «sacro» in questione e quello dell’arte colta rivisitata qui attraverso i caratteri della cultura «altra»: dalla pittura bizantina agli ex voto, dallo schematismo neolitico al decorativismo africano, dal razionalismo rinascimentale alla naivète contadina, dall’espressionismo tedesco al graffitismo metropolitano

Questo approccio cosmopolita di Francomà che non guasterebbe fosse anche insito nelle nuove generazioni di artisti, risolve e decifra, non solo nell’artista ma anche in chi osserva il percorso portato avanti, l’attenzione verso una ricerca carica di un ritorno, ma anche confronto, con i principi della Transavanguardia che Francomà plasma, avvicina e allontana secondo gli obiettivi raggiunti, ma che l’artista non predetermina, lasciando così nelle proprie mani il «rito» libero, dissacratorio, quasi primitivo di consacrare una nuova opera d’arte.
Le opere di Francomà popolate di personaggi fiabeschi suggeriscono ed evocano un mondo fantastico, utopistico, gremito da bizzarre e strampalate figure, che si muovono e prendono vita attraverso i colori di una tavolozza impiastricciata e affamata di restare sulla tela. L’impronta tridimensionale per la quantità di pittura lasciata sulla tela, caratterizza i lavori di Francomà, che così facendo agita lo spazio dell’opera d’arte, caricando i personaggi delle sue «storie infinite» di una umanità popolare.
La poetica della natura presente nei lavori di Francomà, non è mai rilegata ad un ruolo secondario, anche se apparentemente a prima vista potrebbe sembrare così. Gli elementi naturali circondano e avvolgono i personaggi enfatizzando e declamando un racconto così carico di dettagli da suggerire ad un osservatore attento l’abilità del disegno, la capacità del percorso narrativo, la padronanza e destrezza di sgretolare un linguaggio artistico di partenza nitido, che per volontà dell’artista si trasforma in una storia dai caratteri fantastici, frutto della fantasia più intima ma indissolubilmente connessa alla «téchne» artistica.

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I Post-Meridionali

pubblicato il 01/10/2013 08:30:11 nella sezione "Artisti"
"Correggia, Cosentino, Francomà, Lupinacci, Magli, Parentela e Trapasso

di
Roberto Sottile
Critico d’Arte

La mostra del 1984 al centro “Di Sarro” di Roma dei Post-Meridionali, movimento artistico teorizzato da Tonino Sicoli, Critico d’arte e direttore del MAON, con la presenza di due importanti esponenti della critica d’arte come Filiberto Menna ed Enrico Crispolti ha rappresentato un punto di partenza di un impegno di una ricerca d’identità artistica propria, in un’Italia sempre più proiettata a focalizzare l’attenzione verso i grandi poli culturali ed artistici (Roma, Milano, Firenze, Venezia). La presenza artistica in Calabria negli anni ottanta, l’esigenza di condividere un progetto artistico, come scrive Tonino Sicoli
"raccorcia le distanze con il resto d’Italia e d’Europa, avviando una fase di sviluppo interno e di confronto esterno che crea migliori condizioni di lavoro intellettuale - capace di testimoniare – continua Sicoli – la propria storia e la propria estrazione. Non a caso, infatti, se un filo conduttore di ordine critico è da tracciare fra queste esperienze, che nascono autonomamente e spesso da contesti di provenienza differenti, e proprio il motivo della storia del Mito.

Il post-meridionalismo, ed i principali artisti che vi ruotarono attorno come Francesco Lupinacci, Vincenzo Trapasso, Luigi Magli, Francesco Correggia, Mario Parentela, Rino Cosentino, Francomà, trae forza e sviluppa il proprio contributo come scrive Enrico Crispolti
"nel dialogo con il proprio patrimonio appunto antropologico-culturale.

Questa ricerca d’identità attraverso diverse identità artistiche è la chiave dell’inizio, di quel percorso di sprovincializzazione che va al di là di un ''disperato rivendicazionismo'' culturale, e diventa ''spinta progettuale per un riscatto storico''. È l’identità, la riconquista di un ruolo in una regione distante fisicamente dai salotti dell’arte ma capace di competere con una produzione artistica che come scrive Filiberto Menna
"non ha niente da invidiare a nessuno; è, cioè una produzione che si colloca a giusto titolo all’interno del dibattito artistico più attuale e si inserisce negli orientamenti, nelle soluzioni e nelle sperimentazioni linguistiche che appartengono alle declinazioni più attuali delle pittura d’oggi.

A quella concezione di una terra ''piagnona e rinunciataria'' Sicoli e il gruppo dei Post-meridionali contrappongono una produzione autonoma capace di integrarsi nel tessuto artistico senza distinzioni geografiche. Trent’anni dopo i Post-meridionali, l’attenzione - non sempre scontata - verso la nuova generazione di artisti è il risultato di quel confronto - non sempre riconoscito…ahimè! - che ha prodotto l’attenzione non solo «in loco» di istituzioni che nel corso di questi trent’anni ha avviato in Calabria una nuova stagione, sicuramente difficile, ma certamente meno distante rispetto agli inizi.

Uno dei protagonisti del Post- Meridionalismo: Francoma'
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Ruggero Savinio
piemonte (torino) torino

pubblicato il 26/09/2013 23:35:44 nella sezione "Artisti"
Ruggero Savinio, figlio di Alberto Savinio e nipote di Giorgio de Chirico, nasce a Torino il 22 dicembre 1934. Sua madre, Maria Morino, attrice, partecipa all'ultima tournée di Eleonora Duse, in America nel 1924. Anche per tradizione familiare, Ruggero Savinio si avvicina prestissimo al mondo dell'arte, incoraggiato dal padre, Alberto Savinio, uno dei più celebri pittori e scrittori italiani attivi a Parigi tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta.
A quindici anni frequenta per qualche tempo lo studio dello zio a Roma, il più noto pittore Italiano del nostro secolo, da cui riceve importanti insegnamenti soprattutto di tecnica pittorica. Nonostante la vicinanze di due personalità così forti, Savinio trova ben presto una propria strada, allontanandosi dall'atmosfera metafisica o surrealista.

foto di I ritratti del MUSINF di Senigallia - Ruggero Passeri

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Mimmo Nobile
calabria (catanzaro) girifalco

pubblicato il 26/09/2013 23:26:13 nella sezione "Artisti"
Mimmo Nobile nasce il 24 aprile 1955 a Girifalco (CZ).
Giunge a Roma nel 1971 ove compie studi artistici sotto la guida di Giovan Battista Salerno.
Esordisce nel 1988 con un personale alla Galleria Lombardi dietro consiglio del critico Dario Micacchi.
Partecipa a numerosi esposizioni, soprattutto nell’area romana, tra queste si ricorda una grande personale, svoltasi nel dicembre 1993, presso lo “Spazio Flaminio” a Roma, voluta dal Comune, dalla Provincia e dalla Regione Lazio.
Partecipa a numerosi esposizioni collettive in tutto il territorio nazionale, tra i quali :

Mostre collettive
1. Quarta Rassegna nazionale di pittura (carnevale e maschere)Viareggio
2. Under 35(Arte fiera 87 Bologna)
3. Premio Internazionale di pittura e grafica .(Palazzo dei mercenari) MODICA. 1988
4. “Premio Marche” Biennale d’arte contemporanea (Ancona)
5. “Premio Sulmona”
6. Galleria”:CA D’ORO”,Roma(L’arte per l’ecologia. Roma.
7. ART SOLIDARITY(complesso monumentale san Michele ripa) Roma.
8. “Primaverile A.R.G.A.M. 1999: Nuove Proposte
9. “Università degli Studi del Sannio” (Associazione ITACA).
10. “Etruria Arte”Venturina( patrocinata dalla regione toscana)1991.
11. Arte nelle mure(Gallicano nel lazio)

Mostre Personali
1986 Personale presso la Galleria “Il Canovaccio” di Roma
1987 Personale presso la Galleria “La Stadera” di Sulmona
1988 Personale presso la Galleria “Lombardi” di Roma
1988 Personale presso centro culturale (IDEA) Roma.
1989 Partecipa alla “Fiera Arte” di Bologna (su richiesta della critica)
1990 Partecipa alla “Arte Fiera” di Bruxelles
1993 Personale presso lo “Spazio Flaminio” di Roma (patrocinato dalla Regione Lazio, dalla
Provincia di Roma ed il Comune di Roma)
1994 Personale presso il Centro “Le Zitelle” di Venezia (con il patrocinio del Comune di Venezia)
1994 Personale nel Comune di Bitonto (Bari)
1995 Personale presso la Galleria “IL Faro” di Belvedere Marittima (CS)
1996 Personale presso la Galleria “Spazio Arte” di Perugina
1997 Personale presso “Palazzo Parissi” di Monte Prandone (San Benedetto del Tronto)
1997 Personale presso la Galleria “Genus” di Sa Benedetto del Tronto
1997/1998 Personale presso la Galleria “Lombardi” di Roma
1998 Personale presso la Galleria “Explorer” di Roma
1999 Personale presso la Galleria “Spazio Arte” di Perugina
2002 Personale realizzata contemporaneamente presso i seguenti palazzi: “Palazzina azzurra”,
“Palazzo Bice Piacentini” (patrocinata dal Comune di San Benedetto del Tronto)
2004 Personale presso la galleria”Genus” di San Benedetto del Tronto.
2005 XIV Quadriennale di Roma
2006 Mostra Personale/ Evento in piazza Capranica nello spazio Renzi&Partners con la collaborazione del’Assessorato all’Urbanistica, con il I° Municipio-Centro storico e la direzione ufficio Città Storica del comune di Roma.
"Hanno scritto
Eleonora Barbieri, R. Civello, Floriano De Santi, Domenico Guzzi, Dario Micacchi, L. Reghini di Pontremoli, Osvaldo Rossi, Alberto Sughi, G.B. Salerno, G. Selvaggi, Luigi Tallarico, Alberto Gianquinto, Guglielmo Gigliotti, Andrea Romoli, Marco Tonelli, Angela Guarino, Mario Padovan Angelo Calabrese, Alberto Abruzzese, Marco Burini, D. Maestosi , Zamponi,
F.Simongini, G.Simongini, L.Renzi

"Giornali e Riviste
Il Messaggero, L’Unità, Corriere della Sera, Momento Sera, La Repubblica, Il Giornale d’Italia, Gazzetta del Sud, Il Resto del Carlino, Il Giornale dell’Arte, Manifesto, Il Mattino, Latina Oggi, Il Secolo d’Italia, La Sera, Il Giornale di Calabria, Il Tempo, Adn Kronos,Corriere Adriatico, Proposte , La Gazzetta del Mezzogiorno, L’Umanità, L’Ancora, Il Quadrante, Arte, Arte In, Idea,Farnese Arte, Quadri e Sculture, Pagine bianche, Linea -quotidiano-, Testo & Senso, Idea Quadrante, Arte&Carte, Architetti.

"TV
Rai uno, Rai due, Rai tre, Rete Oro, Rete quattro, Canale cinque, Video uno, Gold tv, Telespazio
Leonardo, Teleambiente.

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Incontro con Roberto Fantini, un artista a 360°
lazio (roma) roma

pubblicato il 18/09/2013 17:22:42 nella sezione "Artisti"
"Il mio lavoro mi porta a conoscere interessanti artisti contemporanei, ma parlare con Roberto Fantini è come aver trovato un amico e soprattutto aver conosciuto una bella persona
di Linda Coppi

In una calda giornata di fine agosto ho incontrato Roberto ad Abbadia San Salvatore paese natale di sua moglie e di chi vi scrive, trascorrendo il tempo a parlare sulle origini della sua arte e di come questa si sia evoluta negli anni.
Dopo quest’incontro posso affermare con certezza che Roberto è stato letteralmente scelto dalle Muse che gli hanno donato le virtù per eccellere nella danza, nel teatro, nella pittura e nella scultura oltre a donargli una grande passione per la fotografia e per l’architettura.
Entrato per gioco all’età di 16 anni in una scuola di ballo a Roma, diviene dopo pochi anni primo ballerino, per poi coltivare esperienze nel mondo del teatro e della scenografia ed iniziando a dipingere la notte, principalmente per se stesso. Esperienze di lavoro e la voglia di conoscere nuove culture lo hanno portato a girare il mondo: da prima l’Europa, poi L’Asia ed il Tibet. Ed è proprio il Tibet con la sua cultura, le sue tradizioni ed i suoi colori che affascina Roberto ed è qui che dobbiamo cercare le origini delle sue ‘’figure nere’’della serie di cui fanno parte ‘’La danse Nitria’’, ‘’Profumo di Fragole’’, ‘’Giovani Amazzoni’’ e molti altri ancora, tutti caratterizzati da figure femminili che danzano ad una ritmo percepibili su di uno sfondo, che come ci dice l’artista, è stato concepito come opera finita. Le figure, sono intese da Roberto come la Firma dell’autore, uniche nelle loro peculiarità, sempre riconoscibili con le loro movenze che rispecchiano i tanti anni trascorsi a ballare e a studiare la tecnica della danza.
Una forza prorompente, contraddistingue le opere che compongono la serie degli ‘’screpolati’’dove i soggetti resi nella sua veste minimale riescono a rapire lo spettatore e a portarlo in un mondo fatto di sintesi ed in molti casi ludico, dedicato alle esperienze di vita di fanciulli o giovani donne, richiamando sempre, a volte in piccoli particolari, il ritmo e la danza. Come dice l’autore le sue opere nascono da piccoli collage di figure, immagini od oggetti che lo hanno colpito nella sua vita e che amorevolmente ha messo da parte per poi usare, quando al momento giusto tutti questi oggetti gli reclamano di divenire opera d’arte. Un esempio in questo senso è l’ultima serie del 2013 le ‘’Duchesse’’dove l’ispirazione è nata da una mostra visitata qualche anno prima e dedicata agli abiti rinascimentali delle corti europee.
Un’artista eclettico che richiamato dalle Muse ha scoprire nuove arti, ha iniziato l’esperienza scultorea. Ciottoli di fiume, compongono la parte centrale dei suoi possenti animali in bronzo: cavalli, rinoceronti, tori e maiali. La sua scultura come l’unione della natura intesa come secolare, come secolari e usurati dalle acque sono i ciottoli che trasporta il fiume, e la più difficile delle tecniche scultoree, la fusone a cera persa, per dare vita ad una forma nuova e vitale.
"L’arte di Roberto è la storia della sua vita messa in sintesi. Caratterizzata da ricordi, esperienze, viaggi, passioni tutti trasposti all’interno dell’opera d’arte. E sono tutte queste forti emozioni che lo spettatore nell’ammirare le sue opere percepisce ed apprezza


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Rushit Veliu: “Tra-passato Presente”

pubblicato il 29/08/2013 08:34:39 nella sezione "Artisti"

di Roberto Sottile
Critico d’Arte

"Rushit Veliu, si fa interprete di un processo di riconversione di una pittura 'primitiva', dolente e carica di passioni, capaci di conciliare l’esuberanza del progresso con una ricerca costante della sintesi del passato.


Rushit Veliu nasce a Skenderaj, in Kosovo nel 1979. Durante il conflitto nel Kosovo, decide di non lasciare la sua terra, ma di restare, nel tentativo di vivere quanto più possibile una vita normale. Nel 2002 si laurea presso l’Università di Prishtina nella Facoltà di Arti Visive. Nel 2003 espone presso il Ministero della Cultura a Prishtina in Kosovo mentre nel 2005 presso la Galleria Reall, Ulqin in Montenegro. Diverse sono le città dove espone: Tirana, Boston, Sevilla in Spagna, Hobro in Danimarca. Del 2011 è la sua prima personale in Italia, presso il Museo del Presente di Rende.
Rushit Veliu nei suoi lavori plasma e modella nuove forme grazie ad una tavolozza poliedrica e ad un tecnica pittorica del tutto particolare: le forme affiorano sulla tela come dei corpi estranei in continuo conflitto con lo spazio dell’opera d’arte. La tela graffiata e stropicciata, quasi usurata dal tempo, ci restituisce una pittura carica di colore che invade lo spazio, straripa e consuma le forme del disegno-graffito dell’opera.
Con una attualità di stile e tecnica, Rushit, con una tavolozza di forte impatto, ci restituisce nei suoi lavori quella nuova e moderna trasfigurazione artistica e culturale dei luoghi della sua memoria, dei colori e delle forme del suo tempo urbano, che si armonizzano nel tempo dell’opera, in uno spazio ideale, teorizzato, astratto ma tangibile.
Come delle grandi scatole di giochi, le tele di Rushit custodiscono un racconto popolare, una ricerca del tempo presente, di una trama caotica e inquieta, mediata e conciliata da una pittura di forte impatto visivo.
Ciò che l’artista ci restituisce è il suo pensiero moderno di una società contemporanea ansiogena, dove forme e colori lottano in una precaria condizione di equilibrio, e per volontà stessa di Rushit, la lettura visiva delle opere può avvenire da destra verso sinistra dall’alto verso il basso o viceversa.
L’esperienza del conflitto armato nel Kosovo, anche per la giovane età è elemento di partenza vincolante nella formazione di Rushit. In una terra assediata, alla ricerca della propria autonomia, alla ricerca del rispetto della propria identità è giusto chiedersi quale nuovo “carattere” questa esperienza possa aver lasciato negli occhi dell’artista. Senza alcun dubbio, come conferma anche Rushit, nei suoi lavori quella precarietà percepibile, quel caos e quel disordine sono il prodotto profondo e irrazionale delle paure, delle speranze, dei sogni e desideri di un ragazzo, poco più che adolescente che sceglie di restare nella propria terra durante la guerra.
Il desiderio dell’artista di raccontare questo caos, di portare nei suoi lavori la sua storia il suo punto di vista intimo e privato, avviene in maniera istintiva dal “motu proprio” artistico, ciò permette a Rushit di confrontarsi con se stesso e di sperimentare e proporre una pittura che cammina sulla sottile linea rossa, in un perenne dualismo tra ciò che è "passato" e ciò che è “presente”.






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Gabriele Basilico

pubblicato il 13/08/2013 12:02:10 nella sezione "Artisti"

Biografia dell'artista

Gabriele Basilico nasce a Milano il 12 agosto 1944. Dopo il Liceo artistico, si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Inizia a fotografare mentre è ancora studente, ed è la fotografia sociale il suo primo interesse, nel momento della contestazione studentesca, delle lotte operaie, delle manifestazioni di piazza, del desiderio di cambiare il mondo. Ma, nonostante la gratitudine sempre dimostrata a Gianni Berengo Gardin, suo maestro, o all’amico Cesare Colombo, nonostante la stima per William Klein, il reportage non è il genere di fotografia che realmente possa appartenere a Basilico, non del tutto interessato al racconto dell’evento nel suo svolgersi, non portato a cogliere in velocità il momento decisivo. Altri diventano i suoi riferimenti, prima Bill Brandt e le sue periferie urbane, Ugo Mulas con la sua cultura e la sua apertura intellettuale, Paolo Monti, con il suo metodo severo e rigoroso; poi il grande Walker Evans, maestro di democrazia dello sguardo, i coniugi Bernd e Hilla Becher, che hanno dedicato la loro vita all’indagine sistematica dei manufatti industriali, Lewis Baltz, fotografo delle aree più infime e abbandonate del paesaggio postindustriale. Ma anche, sullo sfondo, le diverse idee di città di Mario Sironi e De Chirico e le periferie dipinte da Umberto Boccioni, o il cinema di Antonioni, Wenders, Tarkovskij.

Non solo la sua formazione di architetto ma anche la sua stessa indole riflessiva lo portano molto presto verso ciò che sarebbe diventato l’oggetto assoluto del suoi impegno: la forma e l’identità della città, l’insieme complesso delle architetture, dei manufatti creati dalla storia e dalla cultura degli uomini. E dalla città, poi, tutti i mutamenti in corso nel paesaggio contemporaneo nel passaggio dall’era dell’industria alla fase postindustriale, e poi, ancora, l’urbanizzazione tutta del paesaggio, la metropoli, la megalopoli. In questo studio del legame tra luogo e identità, avrà per compagni di strada i grandi maestri della fotografia italiana di paesaggio, insieme a lui gli innovatori della fotografia italiana , coloro i quali l’hanno resa arte e impresa di impegno civile a un tempo: Luigi Ghirri, Mimmo Jodice, Guido Guido, Mario Cresci, Francesco Radino, Giovanni Chiaramonte, e i più giovani Vincenzo Castella, Olivo Barbieri, Vittore Fossati. Ma anche, in Europa, tanti autori che come lui hanno fatto del paesaggio il centro del loro lavoro e che con lui hanno partecipato a molti importanti progetti di committenza pubblica, primo tra tutti quello della Mission Photographique de la DATAR.

Dopo il periodo sociale, la prima grande ricerca di Basilico è la notissima serie Milano. Ritratti di fabbriche, 1978-80, nella quale individua e cataloga la fabbrica come possibile emblema dell’identità della città, proprio nel delicato momento in cui l’era dell’industria si spegne. Svolta decisiva, nel 1984-85, la sua partecipazione alla Mission Photographique de la DATAR, grande progetto di committenza pubblica voluto dalla stato francese per una indagine dello stato del paesaggio di fine secolo.

Con questa esperienza Basilico entra in diretto contatto con la nozione complessa di paesaggio come fatto culturale, percettivo, esistenziale. Sicuramente decisivo per l’evoluzione del suo lavoro un altro momento, quando nel 1991 lavora sulla città di Beirut devastata dalla guerra: un’esperienza molto importante che lo porta a riflettere sulla complessità del corpo storico e fisico della città.

Mentre continua a lavorare in molte città e in molti progetti di committenza pubblica, sia in Italia sia in Europa, affronta un’altra ricerca di grande respiro metodologico con Sezioni del paesaggio italiano, insieme a Stefano Boeri, presentato alla Biennale di Venezia del 1996: si tratta del tentativo di individuare un metodo per descrivere le trasformazioni del paesaggio italiano nel suo insieme stratificato, in modo trasversale.

Con la seconda metà degli anni Novanta la sua opera procede su più livelli: da un lato continua a lavorare su Milano, la sua città sempre amata e sempre studiata, intrecciando le immagini di Milano con quelle di altre città italiane ed europee, in cerca di una ”forma della città”; dall’altro, costruisce anno dopo anno lunghe indagini di singole città, o più vasti scenari nel quali confronta e fa convivere città diverse, sempre studiando l’estrema complessità dello spazio urbano contemporaneo. E’ il caso di Cityscapes, del 1999, o di Scattered City, del 2005.

Il lavoro di Basilico può senza dubbio definirsi possente: tra le moltissime città generosamente e metodicamente affrontate vi sono Amburgo, Barcellona, Bari, Beirut, Berlino, Bilbao, Francoforte, Genova, Graz, Istanbul, Lisboa, Liverpool, Losanna, Madrid, Milano, Mosca, Nizza, Palermo, Parigi, Rio de Janeiro, Roma, Rotterdam, San Francisco, San Sebastian, Shangai, Torino, Trieste, Valencia, Zurigo.

Partito da Milano, la sua città, egli ha dunque allargato la sua attenzione all’Italia, all’Europa e poi in modo compatto alle città del mondo globalizzato, in un lungo percorso portato avanti per una vita.

Ultima mostra dedicata
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Massimo Livadiotti: Il Dialogo simbolico tra Oriente ed Occidente
lazio (roma) roma

pubblicato il 12/08/2013 12:33:16 nella sezione "Artisti"


di Linda Coppi

Dagli inizi degli anni Ottanta la sua ricerca è passata attraverso una riscoperta della metafisica dechirichiana per approdare, negli anni a seguire, verso una sorta di simbolismo contaminato da sincretismi iconografici legati al dialogo incessante tra oriente e occidente.


Nato a Zavia in Libia nel '59 si è diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1981, dove vive e lavora.
Oltre a numerose mostre personali a Milano, Roma, Bologna, Parma, Latina, Alessandria presso importanti gallerie private, annovera anche 2 antologiche presso il Museo Petofi di Budapest (1997) e presso La Sociedad Nationales de Belas Arte a Lisbona (2000).Tra le principali mostre pubbliche possiamo ricordare nel 1996 la sua partecipazione alla XII Quadriennale presso il palazzo delle Esposizioni di Roma,nel 1999 la mostra “Giganti” al Foro di Nerva a Roma, l'esposizione alla Mole Vanvitelliana di Ancona nel 2005, nel 2007 partecipa alla XVI edizione della Triennale di Arte Sacra a Celano (L’Aquila) e nel 2010 alla LXI edizione del Premio Michetti a Francavilla a Mare (Chieti). Ha esposto in vari spazi espositivi pubblici di Roma come il Palazzo delle Esposizioni, Museo del Corso, Vittoriano e recentemente a Palazzo Poli con la mostra “Ah,che rebus!”. All'estero ha partecipato a numerose collettive sia in prestigiosi spazi pubblici che Museali in Belgio, Stati Uniti, Germania, Pakistan ed Australia.
La sua opera è stata oggetto di studio per tesi di laurea presso l’Università La Sapienza di Roma e presso l’Accademia di Belle Arti di Catania.
Opere sue si trovano in importanti collezioni pubbliche e private come la Collezione della Farnesina,Galleria Comunale di Arte Moderna di Roma, Collezione Bulgari, Istituto Pontificio di Archeologia Sacra di Roma. In provincia di Rieti si trovano 2 pale d’altare commissionate all’artista presso la Chiesa di S.Maria Nuova a Toffia e presso la Chiesa di S.Giovanni Evangelista in Bocchigniano.

L'artista per il suo prossimo progetto prevede una mostra con un nucleo centrale di opere composite, sculture, carte e dipinti ispirate alla divinità Indù di Shiva e alle figure mitologiche di altre culture, come Osiride e Orfeo

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ACHILLE CAPIZZANO: Artista pubblico e privato

pubblicato il 07/08/2013 08:53:27 nella sezione "Artisti"


di Roberto Sottile Critico d’Arte


Nato l’11 maggio 1907 a Rende (CS), nel 1923 frequenta l’istituto delle Belle Arti a Roma. Dal 1927 al 1930 segue i corsi di decorazione di pittura murale di Ferruccio Ferrazzi con il quale - Capizzano - si diplomerà con il massimo dei voti nel 1930. Con Paolo Paschetto, professore di ornato, realizza gli affreschi nello studio del Ministero dell’Educazione Nazionale. Nel 1932 sposa Finella De Paola di Rende, dal matrimonio nasceranno due figli Anna e Giuseppe. Come scrive il critico d’arte Tonino Sicoli, “ La formazione del giovane Capizzano avviene, dunque, in un clima di fibrillazione culturale dentro il quale si fanno avanti istanze spesso contraddittorie, che spingono da un lato verso la creazione di uno stile fascista, magniloquente e statalista, dall’altro verso un’arte popolare e privata.” Il 1933 Capizzano affianca l’architetto Luigi Moretti, con il quale inizierà un sodalizio molto lungo, nei lavori per la realizzazione del Foro Mussolini, oggi Foro Italico, realizzando i cartoni per i mosaici della Sfera; l’affresco nella sala delle adunate della Casa del Fascio di Monte Sacro; alcuni disegni a tempere per l’aula magna dell’Accademia Fascista; i disegni per il Colosso di Bellini che doveva sorgere sulla collina di Monte Mario. Nel 1936 è la volta degli affreschi nell’accademia di Scherma ed i mosaici per la Piazza Imperiale. L’anno successivo Moretti, avvia i lavori del Viale dell’Impero, l’odierno viale del Foro Italico, chiamando a collaborare Gino Severini, Angelo Canevari, Giulio Rosso e lo stesso Capizzano che realizzerà sette grandi cartoni sulla storia dell’Impero raffiguranti i temi classici, immagini mitologiche, in un racconto continuo e moderno tra la storia dell’antica Roma e la Roma immaginata di Mussolini.
“Per tutti gli anni Trenta fino ai primi anni Quaranta – scrive Massimo Di Stefano – l’attività in merito all’arte pubblica, è intensissima e testimonia la sensibilità di un protagonista della pittura murale italiana che riflette il clima artistico del tempo attraverso un eclettismo funzionale alla propaganda sociale di divulgazione pubblica.” Nel 1940, insieme a Franco Gentilini, Giorgio Quaroni, Giovanni Guerrini vince il concorso per la realizzazione dei mosaici parietali al Palazzo dei Congressi, opera che non sarà mai ultimata per l’entrata in guerra dell’Italia. Del mosaico che avrebbe dovuto realizzare Capizzano, di oltre 20 metri per quattro, esistono 2 bozzetti uno presso la Sala Vip del Palazzo dei Congressi a Roma e l’altro presso il MAON Museo d’Arte dell’Otto e Novecento di Rende. Dal 1942 al 1943 realizza per l’architetto Adalberto Libera, la decorazione dell’albergo Mediterraneo di Roma; nel 1945 espone alle II Mostra d’arte contemporanea presso la Galleria Gregoriana di Roma; nel 1946 termina le decorazioni dell’albergo S. Giorgio di Roma e nello stesso anno termina il dipinto “Assalto alla carovana”, lungo quasi sei metri, ubicato nell’atrio d’ingresso del Cinema Rivoli di Roma, sala cinematografica nelle vicinanze di Via Veneto - l’opera, messa in vendita nel 2011 preso la Casa d’aste Bloomsbury di Roma fu acquistata dal figlio dell’artista il gen. Giuseppe Capizzano, restaurata e collocata nella sala conferenze del Museo del Presente di Rende. - Sono questi gli anni per Capizzano dell’affermazione artistica e di importanti commissioni che accrescono ancora di più la fama dell’artista rendese. In Calabria nel 1947 partecipa alla VIII Biennale Calabrese della “Mattia Preti” a Reggio Calabria, e nel 1949 realizza per il Santuario di Maria Santissima di Costantinopoli, a Rende Centro Storico, la decorazione a tempera della cupola raffigurante la Vergine Maria.
Il Capizzano privato e ben distante dal Capizzano pubblico e come scrive Tonino Sicoli “il decoratore murale è altra cosa dal pittore dei quadri. Ed è in questi ultimi che l’artista rendese, libero da preoccupazioni didascaliche e propagandistiche si lascia andare alle emozioni, esplora le sensazioni nascoste, assume il tono confidenziale” Alla maestosità della poetica artistica (pubblica) di Capizzano, si contrappone un racconto (privato) confidenziale, una pittura ricca di contaminazioni artistiche e culturali, che ci restituisce un artista capace di sintetizzare ed estrapolare una pittura vivace, veloce, frutto di un percorso - come scrive ancora Sicoli – “ in piena adesione allo spirito dei tempi ovvero a quella temperie culturale, che fra slanci e contraddizioni, caratterizza l’arte della prima metà del XX secolo”, che evidenzia una personalità artistica multiforme. “ Può riuscire interessante infine rilevare come Capizzano, – scrive Enrico Crispolti – fra imprese murali e musive e in parte almeno proposizioni pittoriche, negli anni Trenta ma con conseguenze anche oltre, abbia messo a punto una sufficientemente personale tendenza ad un risoluto iconismo presentativo, che risulta come di disseminazione scenica di singole figure in realizzazioni o bozzetti musivi o di murali (fra l’altro alcune tempere dedicate ad Orfeo degli anni Quaranta), mentre nella pratica pittorica si fa più diretto.” Il 28 luglio 1951 a soli 44 anni Achille Capizzano muore a Roma per i postumi di una operazione. Nel 1997 nasce a Rende (CS) il Centro per l’Arte e la Cultura Achille Capizzano che conserva una raccolta delle opere dell’artista.








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