Centocinquant’anni dopo il brevetto, dopo i primi esempi magistrali di Corot e 83 anni dopo l’Eggbeater di Man Ray, la curiosità d’artista e la passione d’incisore condussero Edolo Masci a sperimentare questa rara tecnica, incidendo o dipingendo le lastre di vetro, perspex, e acetato, anche di grande formato (cm 50x70 circa), con la punta, il pennello e lo stilo in legno di bosso, il tampone e la carta abrasiva, sfruttando tutte le possibilità delle matrici e delle tecniche d’esecuzione, tenendo conto, sempre, anche delle fasi di stampa. Nella letteratura artistica il termine cliché-verre indica sia la lastra eseguita a mano dall’artista sia la stampa che né deriva. La matrice è una lastra di vetro, oggi anche di altro materiale trasparente, annerita, sulla quale l’artista traccia con una punta, similmente all’incisore per l’acquaforte, mettendo a nudo il vetro e ottenendo, così, un negativo. Tali lastre vengono poi stampate, su carte sensibili, con procedimenti che sfruttano l’azione della luce (solare o elettrica). Il cliché-verre, rara stampa d’arte, poco conosciuta anche tra gli addetti ai lavori, è nata nel XIX secolo, più o meno contemporaneamente in Francia e nel mondo anglosassone. Ha dato vita a risultati sperimentali ma di grande pittoricismo e fascino poetico. Come spesso accade, questa tecnica è stata avvicinata, quasi sempre, dai maggiori artisti, quelli più curiosi, più sperimentatori, da Corot, che ne ha eseguiti 66, a Delacroix, che ne ha eseguito solo uno. Dopo essere stato impiegato da Corot (negli anni 1853-1874) e dai pittori della Scuola di Barbizon, a causa della fragilità delle lastre, il cliché-verre è stato abbandonato quasi completamente. Agli inizi del XX secolo l’artista che ha ripreso la tecnica è stato Man Ray (che ne ha realizzati circa 28) seguito da Max Ernst (19), Brassaï (12) e naturalmente Picasso (5). Le librerie ed i libri, “luoghi” cari ad Edolo Masci, che da curioso ed accanito lettore divenne fine e colto bibliofilo, come anche ricorda il grande mercante d’arte Giuseppe Zanini nei suoi ritratti d’artista: ZANINI G., Edolo Masci, Un Volto del Novecento, da De Chirico a Campigli, La Collezione Zanini; Mazzotta, Milano, 2004, pag.36. quot(“Al Ferro di Cavallo” e gli artisti, un amore che ha superato il mezzo secolo, da quando Agnese De Donato e Gina Severini inaugurarono lo spazio, come riporta un cronista del quotidiano “Il Tempo”, il primo Novembre 1957: È questo un negozio del tutto particolare che, aperto di proposito nelle immediate vicinanze della Accademia di Belle Arti e del Liceo Artistico, vuole essere soprattutto un ritrovo di artisti. E dove la politica passava per il "Que viva a Fidel Castro!" che vide Giuseppe Capogrossi, Fabio Mauri, Mimmo Rotella, Gastone Novelli, ed altri ancora, esporre nel 1961 per il Lidér Maximo.) Amore continuato con Sergio Mazzocchi, Lena Salvatori e Peppe Orlandi che hanno portato avanti il “Ferro di Cavallo” dal 1982 fino ad oggi, dove Giuseppe Gallo fece la sua prima mostra e qui conobbe Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Claudio Bianchi e Nunzio: stava nascendo la Nuova Scuola Romana. Uno spazio di promozione libera dell´arte tra i libri, dove nel 1985 venivano esposte le, allora pionieristiche, "Immagini al computer" di Paul Thorel. Un luogo che ha offerto la possibilità ai giovani che studiavano all'Accademia di esporre il loro lavoro, spesso “Al Ferro di Cavallo” hanno tenuto la prima mostra personale artisti oggi riconosciuti nell'arte come Alessandra Giovannoni, Paolo Picozza, Maurizio Pierfranceschi, Enrico Pulsoni, Enzo Scolamiero ed altri.
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